Tra metri e montagne, l'alpinismo il "non sport" senza regole

Reinventare l’alpinismo con metro e computer, considerarlo al pari di un qualsiasi altro sport. È davvero possibile? Il commento di Agostino Da Polenza.

L'Everest. Foto Wikimedia Commons
L'Everest. Foto Wikimedia Commons

“E’ una boiata pazzesca” per dirla alla Fantozzi. Reinventare la storia dell’alpinismo con il metro e il computer è stata certamente una trovata geniale, per persone che hanno voglia di applicarsi più che alla passione dell’alpinismo alla geodesia e all’informatica. Messner ha squalificato i loro risultati affermando che proprio non gli interessa di apparire in un libro insieme a chi ha cucinato lo strudel più lungo al mondo. Fine.

È un po’ come se oggi si riscrivesse la storia del calcio ripassando al VAR tutte le partite giocate da quando esistono le riprese televisive, o forsanco le fotografie. Ne risulterebbe un finimondo. La verità è che il calcio, come tutti gli sport, ha delle regole e i gol sono “ratificati” da una decisione arbitrale. Tutti gli sport, siano essi misurati con il metro, come la maratona o da dei giudici che esprimono il loro pare, insindacabile. La revisione del risultato può avvenire, ma per fraudolenti comportamenti antisportivi (e certamente non solo) con il parere di un volonteroso studioso.

Per l’alpinismo è cosa diversa. L’alpinismo e gli alpinisti hanno sempre rifiutato di essere uno sport con delle regole e delle classifiche. Per idealismo e scelta culturale, qualche volta anche convenienza. 

Nessuna regola

L’uso dell’ossigeno, che sportivamente è doping in quanto aiuta di molto la prestazione individuale, è spesso dimenticato nel racconto alpinistico, così come l’utilizzo di aiuti come sherpa o corde fisse, posizionate magari da altri e usate a pagamento. “Ma le regole no”, dicono gli alpinisti. Nemmeno quella della buona abitudine di documentare e raccontare per bene quel che lassù veramente accade. Magari con un organismo qualificato che ratifichi le vette, le salite, le vie (UIAA?).  Invece s’è lasciato per decenni alla splendida miss Elizabeth Hawley, giornalista statunitense, vissuta lungamente a Kathmandu, il racconto della storia dell’alpinismo in Himalaya, e a lei il giudizio ultimo di chi avesse salito o no e come le cime.

E allora, quasi per contrappasso, arriva Eberhard Jurgalski, con i satelliti e intelligenza artificiale, s’infila nel varco e s’inventa lui la regola, quella del metro, e ti cambia nome nel “Guinness dei Primati” alla voce “record dei 14 ottomila senza ossigeno”.  Da Massner a Viesturs, che con grande rispetto e dignità rifiuta il titolo, ma non solo, vengono spodestati miti e amici come Kukuczka, Mondinelli, Martini, la Pasaban, Nirmal Purja e molti altri.

L’alpinismo tradizionale, contrariamente alle reiterate dichiarazioni di morte, sempre apparente, anche stavolta saprà fare spallucce e andare avanti, è sicuro più della classifica di Jurgalski.

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