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Le aree montane sotto la lente dell’UE: il Progetto “Montana 174”

Montana 174. Una campagna di sensibilizzazione riporta al centro della politica europea di coesione un’esigenza di fondo: per ridurre i divari territoriali nelle aree di montagna è necessaria una strategia orizzontale e partecipativa, che riconosca il legame sociale e la qualità della vita come elementi imprescindibili di un ‘capitale umano’ già proiettato nel futuro.

Unione Europea e montagna: le basi del Progetto

Pietra angolare della strategia UE di integrazione e sviluppo regionali, la politica di coesione è al centro di un progetto dedicato alle aree montane, che interessano quasi il 29% del territorio dell’Unione e il 13% della sua popolazione.

Tripartita sul piano economico, sociale e territoriale, la coesione costituisce l’obiettivo fissato dal legislatore europeo –già presente, in embrione, nel Trattato di Roma del 1957 ed esplicitato, un trentennio più tardi, dall’Atto unico europeo(art. 23) – per ridurre le diseguaglianze regionali e aiutare i territori meno favoriti. All’art. 174, il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) presta un’“attenzione particolare”, tra le altre, “alle regioni di montagna”. In termini di stanziamenti, solo per l’Italia parliamo di circa 43 miliardi di euro per il ciclo di programmazione 2021-2027 (su un totale di 392, quasi un terzo del bilancio unionale), 30 dei quali destinati alle regioni meno sviluppate.

"Montana 174"

 Allo stesso articolo del Trattato è stato intitolato “Montana 174”. Lanciato nell’ottobre 2021 e terminato un anno più tardi, questo progetto, finanziato dalla Commissione europea, ha coinvolto i territori regionali di cinque Paesi partner (Spagna, Francia, Italia, Croazia e Slovenia), avviando su scala UE una campagna di comunicazione rivolta agli abitanti delle aree montane sulle opportunità, spesso ignorate, che la politica di coesione offre a sostegno di quelle realtà. La finalità concreta è provvedere uno ‘strumentario’ volto a garantire l’utilizzo funzionale ed efficace dei fondi europei.

Anima e coordinatore del progetto è Euromontana, organizzazione no-profit per la ricerca scientifica e lo sviluppo sostenibile delle terre alte, costituita nel 1996 su iniziativa di 14 Paesi europei, ma con una storia risalente alle conferenze annuali della FAO sull’agricoltura degli anni ’50. Portavoce delle istanze politiche, socio-economiche, culturali e ambientali di chi abita le regioni montane, con particolare attenzione alle “aree rurali marginalizzate”, l’Associazione rappresenta 75 organizzazioni in 20 Paesi europei, cooperando a livello internazionale a vari progetti e mantenendo uno stretto legame con la FAO.    

Obiettivi specifici ed esperienze a confronto

Cinque sono gli obiettivi attorno ai quali ruota la policy di coesione:

– aiutare l’occupazione, in primis dei più giovani;

– contrastare il processo di cambiamento climatico e i suoi effetti;

– creare un legame virtuoso tra sistemi di trasporto e bisogni economici, sociali e ambientali (c.d. ‘mobilità sostenibile’);

– incrementare soluzioni innovative impiegando la tecnologia digitale (DSI) in collaborazione con gli utenti e le comunità interessati, e in funzione dei loro bisogni;

– promuovere un turismo più consapevole, responsabile e rispondente alle necessità della transizione ecologica.  

A livello nazionale, i fondi strutturali europei sono filtrati, per l’ambito qui interessato, dalla Strategia nazionale per leAree interne (SNAI): quelle aree, cioè, lontane dai centri di offerta dei servizi essenziali ma forti di un patrimonio ambientale, storico e culturale, su cui pesano gli effetti di processi quali lo spopolamento o lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali. Tra gli enti coordinati da Euromontana troviamo l’Ente lombardo per i Servizi all’agricoltura e alle foreste (ERSAF).

Esperienze di successo

In un opuscolo diffuso da Montana 174, si riportano esempi concreti e testimonianze che restituiscono una sintesi dei successi avuti a livello regionale. In meno di un decennio sono stati finanziati 11.400 interventi, che hanno coinvolto 23 comunità montane e hanno interessato: 

– l’agricoltura (ad esempio, diffondendo il valore di una produzione alimentare legata alle tradizioni familiari e ai saperi locali alpini); 

– il paesaggio, in particolare il ripristino e la manutenzione di vecchi sentieri di valore storico (come nelle Prealpi comasche, dove sono stati realizzati interventi di consolidamento di un tratto della Via dei Monti Lariani, l’ampliamento della passerella sull’Orrido di Bellano oltre al il recupero dello storico cammino che dal Passo Spluga, passando per Chiavenna, porta al Lago di Como); 

– un’offerta turistica centrata sul recupero di antichi tracciati e di edifici destinati ad accogliere ‘frequentatori responsabili’ della montagna (è il caso della trasformazione in rifugio della canonica di Voga-Menarola, a Gordona – SO); 

– l’organizzazione del lavoro, con la predisposizione di spazi di co-working che consentono di collaborare a progetti di sviluppo locale, come il restauro di un vecchio rifugio o di una fornace d’epoca romana. Quest’ultimo aspetto conferisce nuovo valore al lavoro, a partire da uno spazio condiviso che ne modifica tempi e modi di esercizio a vantaggio della comunità di residenza.

La più grande area montuosa d'Europa

Tra i partner del progetto, merita una menzione particolare la Francia, che conta la più grande area montuosa d’Europa. All’80% della sua superficie (quasi 70.000 kmq), la Regione “Alvernia-Rodano-Alpi” è infatti occupata dalle catene del Giura, delle Alpi e del Massiccio Centrale. 

Prima regione industriale del Paese, con 8 milioni di abitanti, essa garantisce per il solo settore dell’economia di montagna 120.000 posti di lavoro. In un contesto simile, la politica di coesione ha facilitato l’accesso ai servizi essenziali (ad esempio a Chambery, con l’apertura di un collegio capace di ospitare 200 ragazzi, che prevede corsi preparatori specifici per l’accesso alle scuole professionali), aiutato i giovani neo-imprenditori o aspiranti tali con servizi dedicati al supporto e all’assistenza (un incubatore d’impresa a Grenoble), ottimizzato la mobilità regionale migliorando reti e infrastrutture di trasporto. 

Un processo in fieri, in coerenza con il “patto rurale” auspicato dalla Commissione europea: una cooperazione sinergica che vede partecipi, ai vari livelli, gli attori del cambiamento, promotori e/o destinatari attivi delle iniziative in campo, nonché tavoli di lavoro in grado di proporre e diffondere buone prassi e di assistere i Comuni nell’accesso ai fondi UE. 

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‘Coesi’ nella transizione

Se l’invecchiamento demografico è considerato una ‘criticità’, può esserlo in misura ancor maggiore nelle aree rurali e montane, dove all’aumento della domanda di assistenza domiciliare e sanitaria corrisponde la carenza dei relativi servizi. Inoltre – si veda l’ultimo Rapporto (VIII) sulla coesione pubblicato dalla Commissione UE –, gli eurobarometri ci dicono che gli abitanti di quelle aree, per logica di prossimità, si fidano meno delle istituzioni nazionali ed europee che delle autorità locali e regionali, fatto che può generare incomprensioni e situazioni di stallo rispetto agli interventi potenzialmente realizzabili. 

Nel documento citato, si legge: “Negli ultimi due decenni, la politica di coesione ha ridotto le disuguaglianze economiche, sociali e territoriali”. Eppure, nella società della “permacrisi” (parola dell’anno 2022 per il Collins Dictionary), le transizioni verde/digitale/territoriale “possono anche creare nuove disparità, aumentare le richieste rivolte alle autorità nazionali e locali, alimentare il malcontento e mettere sotto pressione le nostre democrazie”. Per una policy efficace, il Rapporto sottolinea l’importanza di un confronto tra Paesi (anche fuori dall’Unione) e la necessità di assicurare ai cittadini europei una prospettiva durevole, fatta di inedite opportunità lavorative, ma anche di una rinnovata attenzione per i legami sociali e la qualità della vita.

Pur non esistendo ricette miracolose, questo è il senso della “convergenza interna all’UE” proclamata dai suoi organi nel 2017:  il “Pilastro europeo dei Diritti Sociali” poggia su una “politica paritaria ed equa, che tenga conto delle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro” e – aggiunge il Rapporto della Commissione – crei finalmente le basi per “un ampio dibattito, capace di alimentare le basi di questa politica nel periodo successivo al 2027”.     

Gli ingredienti, dunque, esistono e le prime ‘prove di volo’, come testimoniano i vari progetti sostenuti da Euromontana o l’esempio delle Green Community, restituiscono un senso concreto al concetto di ‘transizione’.

Gli interessi in gioco

Da un’altra prospettiva, troviamo fortissimi interessi in gioco, connessi a realtà imprenditoriali capaci di influenzare, a vario livello, le politiche territoriali: gli stessi di chi, come alcuni membri dell’ANEF (Associazione nazionale esercenti funiviari), nel Manifesto dello scorso settembre ridimensiona il cambiamento climatico – senza citarlo – criticando “un certo ambientalismo di facciata, utilizzato in modo strumentale e demagogico da chi non abita i territori di montagna” (così Rolando Galli, Presidente di ANEF Toscana). 

In base ai dati incrociati di un’indagine del 2020, il fatturato generato dal settore delle società funiviarie in Italia supera il miliardo di euro l’anno (con un indotto compreso tra gli 8,5 e i 12 miliardi). Di fronte a un mercato in costante evoluzione, le società di gestione hanno percepito un risarcimento complessivo ‘post-lockdown’ di 430 milioni di euro.

Siamo l’unico argine allo spopolamento della montagna”, afferma Valeria Ghezzi, che guida l’Associazione dal 2014. “Ci assumiamo responsabilità e chiediamo alla politica una legge per la montagna che riconosca il nostro ruolo e ci metta nelle condizioni di operare al meglio. (…) Se decidessimo di non produrre neve artificiale o fermare gli impianti, ci sarebbero decine di migliaia di persone disoccupate. (…) Non possiamo fermare la montagna”. Se è così, la montagna, privata della sua destinazione funzionale (un bene di consumo), ‘si ferma’, smette di esistere perché inutile a garantire lo sviluppo dell’economia e la tutela del lavoro.

A proposito di ruoli e visibilità, i dettagli dei fatturati e dei ristori percepiti negli ultimi anni da questo membro di Confindustria (che rappresenta il 90% delle aziende funiviarie italiane) sono più eloquenti delle tante dichiarazioni, così come – all’opposto – l’entità del canone versato dai privati agli enti pubblici per l’ uso dell’acqua destinata all’innevamento artificiale.  

Le altre vie allo sviluppo sostenibile

Fuori dalle logiche di accaparramento e di ricatto occupazionale, che formano tuttora il DNA del potere espresso dai grandi gruppi aziendali, esistono, come si è visto, altre vie allo sviluppo sostenibile. 

Molto accomuna, nella ricerca della coesione, Montana 174 a realtà progettuali già in atto come le Green Community… Ma anche, spingendosi al di là della cornice istituzionale, ai quei “sistemi di scambio locale” (SEL in acronimo francese) che concorrono a ri-mappare la geografia umana dell’Europa. 

Alla base, troviamo uno sforzo di volontà che non può essere il prodotto di un algoritmo: il rifiuto di considerare mere ‘criticità’ aspetti come la distanza da un centro urbano (che causerebbe automaticamente lo spopolamento) o l’invecchiamento della popolazione (il ‘peso’ degli anziani bisognosi e ‘improduttivi’). 

Dare valore a processi di partecipazione degli anziani, dispensatori di conoscenze e di memoria, alla vita di comunità, così come avviare un sistema solidale di scambio multilaterale di beni e servizi – di natura privata o pubblica – che permetta di ridurre le ore di lavoro (altrimenti necessarie a procurarsi denaro) a vantaggio del tempo libero e dei rapporti sociali, sono aspetti che migliorano la qualità della vita. 

E il mercato, da solo, non si preoccupa di quello che potrebbe diventare il cuore della politica di coesione del futuro: un’economia del legame e della gratitudine.

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