Crediti immagine: Rifugio Genova Figari via Wikimedia Commons

Siccità: paura per la stagione dei rifugi alpini

Le piogge primaverili non sono sufficienti per ripristinare le riserve idriche e i rifugi alpini, esprimo preoccupazioni in vista della stagione estiva

Dopo l’esperienza vissuta nel corso dell’estate 2022 i rifugi delle Alpi guardano con apprensione a quello che potrebbe succedere nel corso della stagione 2023. A incutere timore è l’assenza di acqua che nel corso della passata stagione ha inciso in modo marcato su un’attività che dipende strettamente dal legame con la natura. Alcuni rifugi hanno dovuto anticipare la chiusura, altri hanno dovuto trasportare ettolitri di acqua in quota per poter garantire i servizi di base, alcuni addirittura con l’elicottero. E quest’anno, a giudicare dall’andamento della stagione, le condizioni potrebbero essere simili.

La siccità ha intaccato le riserve idriche

Neve accumulatasi in inverno e piogge primaverili non sono state sufficienti per garantire una tranquilla stagione estiva. Questo è quello che risulta da molti gestori di rifugi, dal Piemonte al Friuli-Venezia Giulia. A ovest, nel cuore delle Alpi Marittime il rifugio Genova Figari (2020 m) è facilmente raggiungibile a piedi quando, da sempre si ricorda, la neve spariva oltre la metà di giugno. Addirittura, per l’apertura era richiesto l’intervento della motosega con cui togliere i blocchi di neve compattati. Sicuramente le condizioni facilitano il lavoro ai gestori, ma con le attuali riserve idriche si corre il rischio di aprire senza poter garantire il classico servizio di accoglienza che la struttura ha sempre offerto ai suoi ospiti. Lo stesso accade al rifugio Fauniera, in Valle Grana, dove le falde, spiegano i gestori, sono ai minimi storici.

Situazione simile anche in Lombardia, dove si tirano le somme su quella che è stata la stagione 2022 quando il 60% dei rifugi si è trovata a lavorare con una disponibilità di acqua inferiore del 30-40% rispetto alla norma. Conseguenza di questa mancanza è stata la chiusura anticipata del 10% delle strutture.

Le stesse preoccupazioni pervadono anche i rifugi del trentino e della parte est delle Alpi. In Trentino. Il rifugio Città di Trento al Mandron (2449 m) è stato costretto ad attivare un generatore ausiliario per l’apertura primaverile. La sua centralina idroelettrica, che pescava l’acqua dal Lago Scuro, non può essere attivata: con il livello dell’acqua più basso di 15 metri la turbina non riesce a funzionare.

Si cercano soluzioni per affrontare il problema delle siccità

Nel frattempo, si stanziano fondi e si cercano soluzioni. Lo scorso anno il Club Alpino Italiano è intervenuto con un bando da 300 mila euro chiamato “Bando approvvigionamento acqua e contenimento consumi idrici nei rifugi 2022”. L’obiettivo era quello di “attuare misure concrete ed efficaci nel breve e medio periodo in risposta al cambiamento climatico”. Si lavora poi al recupero dei bacini e per trovare soluzioni che permettano di accumulare acqua in quota, così da garantire una maggiore riserva idrica. Sicuramente servirà spirito di adattamento alla vita in quota, consapevoli che in molti casi i servizi non potranno essere quelli di un hotel cittadino. Senza dimenticare il necessario e dovuto rispetto ambientale. La risposta a questo problema, in fondo, non deve essere un tampone che permette di avere acqua per la stagione, ma uno sguardo più ampio che ci aiuti a comprendere quello che sta succedendo al nostro Pianeta. Una perla blu sempre più sofferente per le modificazioni antropiche del clima, trasformazioni che oggi sono sotto agli occhi di tutti con segnali evidenti che non devono essere ignorati o guardati solo dal punto di vista delle attività umane. In gioco c’è molto di più rispetto alla stagione estiva dei rifugi.

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