- Giugno 6, 2023
- 1:24 pm
Presenza di plutonio negli strati ghiacciati dell'Antartide: una scoperta scientifica significativa
La scoperta arriva da un gruppo di ricerca, tutt’ora presente in loco, impegnato nell’analisi dei ghiacci dell’Antartide.
A partire dal 1952, fino poi agli anni Ottanta, sono stati eseguiti numerosissimi test nucleari (oltre 500) e, in particolare durante le prime sperimentazioni, gli ordigni venivano fatti esplodere nelle atmosfere; da qui, la radioattività rilasciata raggiungeva posti remoti, anche molto distanti dalle esplosioni, luoghi come l’Altopiano Antartico.
Il ruolo delle carote di ghiaccio dell'Antartide nella rivelazione delle tracce di plutonio-239 e la datazione precisa degli strati nevosi
Proprio qui, il Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff” dell’Università di Firenze è impegnato nell’estrazione e analisi di una carota di ghiaccio. Il team, coordinato da Mirko Severi, Rita Traversi e Silvia Becagli, si occupa degli studi su questi enormi cilindri di ghiaccio utilizzati come “archivi climatici”.
La loro ultima ricerca, denominata “The 239Pu nuclear fallout as recorded in an Antarctic ice core drilled at Dome C (East Antarctica)”, in collaborazioni con l’ENEA, l’Università di Siena e l’Istituto di Scienze Polari, pubblicata sulla rivista Chemosphere, ha rilevato tracce di Plutonio-239, risalente appunto ai test di decine di anni fa.
“Il plutonio-239 è un marker specifico per valutare gli effetti sull’ambiente dei test nucleari iniziati negli anni Cinquanta e condotti fino agli anni Ottanta. Si tratta, infatti, dell’isotopo fissile primario utilizzato per la produzione di armi nucleari. Il suo ritrovamento, in primo luogo, è utile per determinare una datazione accurata degli strati nevosi: dal punto di vista glaciologico, la presenza di plutonio-239 nelle carote di ghiaccio permette, infatti, di attribuire i campioni agli anni in cui venivano condotti i test sulle armi nucleari”, dichiara Mirko Severi.
L'impatto dei test nucleari nel passato: la scoperta di tracce di plutonio-239 nelle carote di ghiaccio dell'Antartide
Le attività di questo progetto sono frutto di iniziative avviate negli anni Novanta nell’ambito del progetto EPICA (European Project for Ice Coring in Antarctica), con progetti di ricerca tutt’ora attivi.
Nello specifico, la ricerca pubblicata su Chemosphere è basata su una carota lunga circa 120 metri, prelevata tra il 2016 e il 2017, per poi essere trasportata e analizzata nei laboratori del polo scientifico di Sesto Fiorentino.
Aggiunge Becagli: “A differenza degli studi precedenti basati su tecniche di misurazione della radioattività che necessitavano di grandi quantità di campioni (qualche chilo di ghiaccio) le analisi condotte nei laboratori Unifi hanno permesso di raggiungere risultati soddisfacenti con campioni dal volume molto più ridotto. Tale ‘snellimento’ è un vantaggio importante poiché generalmente i campioni da analizzare vengono suddivisi tra vari gruppi di ricerca; quindi, a una minore necessità di materiale per condurre le ricerche corrisponde una maggiore possibilità di eseguire ulteriori tipi analisi”.
L'utilizzo delle carote di ghiaccio come "archivi climatici" per studiare l'inquinamento radioattivo: il caso del plutonio-239 nell'Antartide
La presenza di plutonio nel ghiaccio odierno consente, in primo luogo, di avere una datazione glaciologica precisa degli strati nevosi e della successione dei test effettuati, e, in secondo luogo, di comprendere quanto il materiale radioattivo permanga nell’ambiente. Si potrebbe verificare quindi la salute del pianeta anche esaminando una piccola quantità di neve. Per esempio, il ghiaccio della Groenlandia ha maggiori concentrazioni di plutonio-239 rispetto all’Antartide, per via dei tanti esperimenti condotti dalla vecchia Unione Sovietica. Come evidenziato dai ricercatori, la concentrazione del materiale radioattivo rimane alta per migliaia di anni, dimezzandosi solo dopo 24mila anni.
Oltre a fornire dati sulla deposizione di plutonio-239, la ricerca Unifi in Antartide potrebbe offrire importanti informazioni per comprendere meglio i processi di trasporto di aerosol verso le alte latitudini.