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Alberi caduti a Milano durante il nubifragio: solo pessima manutenzione?

Gli alberi rappresentano un tassello fondamentale per l’ecosistema Terra. Garantiscono ossigeno e mitigano le temperature, ma perché questo avvenga è fondamentale una loro corretta gestione e pianificazione. Ne abbiamo parlato con Giorgio Vacchiano.

Lo scorso giugno alberi di oltre quaranta metri sono crollati al suolo bloccando strade, devastando parchi, case e ville storiche in centro a Milano. Intere foreste verdi della Sicilia che diventano terre aride e secche. L’Italia intera è sotto l’attacco di una serie di eventi in cui gli alberi sono sia i carnefici che le vittime. Gli alberi ci garantiscono aria e un ecosistema sano, la loro gestione e pianificazione oltre che monitoraggio sono passi fondamentali per la mitigazione al cambiamento climatico ma dall’altro se tutto questo manca possono diventare la causa di gravi danni a persone e cose. Ma gli alberi caduti a Milano, erano tutti malati? C’è stata una mancanza di corretta manutenzione? Ne abbiamo parlato con Giorgio Vacchiano ricercatore e docente in gestione e pianificazione forestale all’Università Statale di Milano.

Considerando la situazione drammatica che sta subendo tutta la penisola italiana; l’alluvione di qualche mese fa al centro Italia, gli incendi in Sicilia, il vento forte e le violenti piogge al nord, viene spontaneo chiedersi se tutto questo è normale. Come affermato dal World Weather Attribution, la causa di questi eventi è il cambiamento climatico, è corretto?

Possiamo dire che l’attività umana sul pianeta Terra sta esacerbando questi eventi rendendoli sempre più frequenti. Dobbiamo considerare che fino a qualche anno fa era difficile l’attribuzione di un singolo evento estremo al cambiamento climatico. Il clima è la media di quello che ci aspettiamo dalle condizioni meteorologiche su almeno trent’anni di tempo quindi prendere un singolo evento non è indicativo perché per definizione bisogna considerare più d’uno in un periodo più lungo per attribuirgli per esempio delle anomalie nella frequenza con il quale avvengono. Tuttavia, grazie alla scienza dell’attribuzione, quella che usa il World Weather Attribution(WWA) ora è possibile fare più chiarezza su quali eventi sono davvero causati dal cambiamento climatico e quali no.

Come lavora l’WWA? Quale processo utilizzano per attribuire la relazione al cambiamento climatico?

L’WWA è una collaborazione accademica che studia l’attribuzione di eventi estremi al cambiamento climatico. Gruppi di scienziati cercano di capire se un certo evento estremo come ondate di calore, siccità e tempeste siano più probabili a causa del cambiamento climatico. Essenzialmente cercano di riprodurre, usando modelli matematici, le condizioni meteo che hanno portato a un evento estremo partendo dalla situazione climatica attuale quindi quella modificata dall’effetto antropico umano. Questo viene poi confrontato con le condizioni meteo del clima di tempi passati non affette da variazioni. Così facendo si definisce come il cambiamento climatico abbia aumentato la probabilità di verificarsi per quel dato evento.

Per le ondate di calore quasi il 93% di quelle analizzate sono state attribuite al cambiamento climatico. Ovviamente è bene precisare che per le ondate di calore è prevedibile proprio perché la prima causa del cambiamento del clima è l’innalzamento delle temperature. Più difficile è studiare eventi localizzati come tempeste e alluvioni. Casi come le alluvioni, per esempio quella dell’Emilia-Romagna solo il 56% degli eventi è associato al cambiamento climatico. Ma perché? Non è che non ci sia stata l’attribuzione ma per alluvioni e tempeste ci si scontra con le limitazioni del modello matematico. Il fenomeno delle alluvioni porta con sé la vulnerabilità della tipologia di territorio nel quale avviene, l’indice di edificazione (dove e come si è costruito) e questo nel modello non lo può considerare. Quindi per il caso specifico, la conclusione è stata che non siamo riusciti, per via della mancata precisione del modello, a simulare ciò che è accaduto in Emilia-Romagna ma non è stata esclusa la correlazione a ciò che sta succedendo al clima.

Ricordiamo una cosa; questi eventi si verificherebbero lo stesso, ma in un clima non alterato sarebbero meno intensi, meno forti e frequenti oppure meno prolungati. Oggi forse conviene spostarsi di più a pensare, non tanto al fatto che avvengano o meno, ma alla loro intensità e durata per far fronte ai conseguenti danni.

Nell’opinione pubblica, da un lato aumenta la coscienza dei benefici di alberi e piante e dall’altra a seguito di eventi in cui le alberature hanno creato parecchi danni cresce un certo distacco e l’idea che siano solo un problema. Quanto sono importanti alberi e foreste per ridurre eventi estremi e le loro conseguenze?

Gli alberi abbattuti a Milano, quelli distrutti dagli incendi in Italia, Grecia, Algeria e Canada sono certamente alberi e foreste che mancheranno come alleati per il nostro adattamento, per la mitigazione alle conseguenze del cambiamento climatico. Servono circa un terzo delle nostre emissioni di carbonio a livello globale, dall’altra posizionati nel modo giusto nelle città ci possono rinfrescare, assorbire parte delle piogge estreme e sono associati al benessere non solo fisico ma anche mentale ed emotivo.


Tuttavia, in quanto esseri viventi come noi, anche loro hanno dei limiti. Quindi sono soggetti a principi fisici e chimici che portano a dinamiche di adattamento, efficientamento delle risorse ma anche malattie e morte. Quindi usarli per l’adattamento è possibile ma solo fino a un certo punto perchè poi andiamo incontro a meccanismi naturali che risultano essere un problema per la nostra sopravvivenza. Per esempio, è sempre più comune ed è già presente in alcuni punti del mondo, che le foreste rallentano le loro capacità di assorbire CO2.

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Può un albero smettere di assorbire CO2? è una strategia di sopravvivenza?

La siccità, come quella che ha riguardato anche l’Italia per 17 mesi tra il 2022 e 2023 per esempio interrompe la fotosintesi o la spegne temporaneamente perché l’albero va in stress. L’albero cerca di risparmiare acqua e quindi non scambia più gas con l’esterno per non perdere vapore acqueo, quindi, è meno capace temporaneamente di assorbire carbonio dall’atmosfera. Un fenomeno che potrebbe interessare anche la vegetazione delle Alpi.

Questo non riguarda ancora tutte le foreste del mondo ma in territori particolarmente stressati soggetti ad incendi e siccità questo già si vede, cioè, rischia di esserci un rallentamento o addirittura un’inversione del meccanismo: foreste che invece di assorbire carbonio iniziano emetterlo perché sono più gli alberi che muoiono rispetto a quelli che crescono.

Ritornando ai danni che hanno subito diverse città, tra cui Milano per via della caduta di centinaia di alberi, anche di dimensioni importanti. Quali sono i meccanismi che portano un albero a cadere?

Un albero cade per via di diversi fattori. è un essere vivente che cresce e muore, può essere messo a dura prova dalla natura o semplicemente ammalarsi. Gli alberi che abbiamo visto cadere nei giorni scorsi a Milano si sono danneggiati secondo entrambi i modi in cui un albero può cedere al vento- spezzandosi al fusto, o sradicandosi. Si tratta di un problema di meccanica: il vento esercita sulla base dell’albero una certa forza, proporzionale alla sua velocità e all’altezza dell’albero stesso. L’albero oppone resistenza con l’attrito tra radici e terreno, e con la forza delle fibre di legno del fusto. Se la resistenza alle radici è più bassa della forza del vento, l’albero si sradica. Se la forza delle radici è più alta di quella del vento, ma la forza del vento supera la resistenza del legno, il tronco si spezza.

Altri fattori che possono modificare questa dinamica sono: eventuali danni dal legno (es. infezione da parte di funghi)che rendono le fibre meno resistenti; umidità a livello del suolo, che abbassa l’attrito delle radici; dimensioni ridotte o danni alle radici, che generalmente in città sono quasi sempre sotto stress (calpestio, suolo impermeabili), possono essere state danneggiate da lavori stradali (scavi per fogne, elettricità o cavi telefonici, lavori alla carreggiata, lavori della metropolitana) o da potature scorrette (la capitozzatura induce la pianta a “ritirare” le radici perché ha bisogno di mantenere una chioma improvvisamente più piccola). Infine possono essere state stressate dalle alte temperature raggiunte dal cemento in cui sono affondate, specialmente sotto ondate di calore, o dallo stress da siccità; e infine la forma della chioma, che disperde la forza applicata del vento se è ben “spalmata” lungo il fusto anziché concentrata in alto sull’albero e se è “permeabile” e meno compatta (es alberi con rami flessibili anziché rigidi, in cui il vento “passa attraverso” e non impatta frontalmente).

Quindi la caduta in questo caso è imputabile alla mancata manutenzione o accortezza nella gestione del patrimonio arboreo?

Nel caso di milano si sono schiantati centinaia di alberi. Ma questi alberi hanno subito un vento oltre i 120 km/h di vento qualsiasi pianta anche in bosco cade, figuriamoci in città dove gli alberi sono comunque più “stressati” e peggio radicati. Alcuni si sono rotti, altri sradicati, altri nulla.


è difficile quindi dire qualcosa sulle responsabilità di eventuali azioni scorrette, sapendo inoltre che il comune di Milano ha in genere un buon programma di monitoraggio e controllo degli alberi(tanto da essere Tree City of the World, il riconoscimento della FAO per le città che hanno una migliore gestione delle alberate urbane). Tutti gli alberi sono mappati e monitorati a rotazione con perizie statiche (VTA o visual tree assessment, che valuta le condizioni di equilibrio statico per ciascun albero sulla base di indagini visive e strumentali, a opera di tecnici agronomi e forestali, e obbliga all’abbattimento degli alberi pericolanti cioè in “classe D”).

Io propenderei più per attribuire la causa principale alla violenza dell’evento (eventualmente intensificato localmente da effetto canyon urbano, a seconda dell’orientamento delle strade) che non a una diffusa mancanza di manutenzione se non per alcuni casi.

Come difendersi per ridurre abbattimenti, i danni agli alberi e di conseguenza alle cose durante eventi estremi come le tempeste?

Ecco quindi che sia la scelta della specie (radici più profonde, legno più duro, altezze non cosi sviluppate, chiome compatte e flessibili, rami che non tendono a “sbrancarsi” cioè separarsi), una corretta manutenzione (potature di alleggerimento o di formazione della chioma, no capitozzature, no danni alle radici, no ferite a fusto o rami che possano favorire l’ingresso di funghi, no stress da calpestio e suolo impermeabile), e il contenimento degli stress da caldo e secco, possono essere tutti fattori su cui puntare se vogliamo che gli alberi continuino a darci i loro benefici.

Ha senso incrementare la prevenzione territoriale sia comunale che nazionale ?

Si, ha senso parlare di prevenzione del territorio, di pianificazione, di adattamento. Tante le dimostrazioni che la gestione e controllo delle foreste e poi del verde urbano a livello locale aiuta a ridurre i danni e prevenire morti, distruzioni e gli ingenti danni economici. Uno studio a cui ho collaborato dimostra come i comuni italiani che spendono di più e meglio in gestione del territorio sono quelli che riescono a limitare di più i danni da incendi.


Chiaramente più la situazione climatica diventa drammatica, estati particolarmente calde e secche più diventa inutile qualsiasi azione, rimane che essere preparati ad agire perché in quel caso incendi frequenti saranno assicurati e anche molto più pericolosi e difficili da spegnere perchè difficili da domare. Mentre a livello urbano diventa importante chiedersi come progettare le piantumazioni di oggi per pensare al futuro(gli alberi che piantiamo oggi faranno il loro dovere tra vent’anni). Oppure risulta fondamentale la manutenzione e analisi di stabilità delle alberature come è successo per gli olmi di via Mac Mahon a Milano, che si sono salvati anche grazie all’attenta manutenzione e le programmate prove di trazione a ogni lavorazione.

In Italia cosa stiamo facendo per migliorare la gestione di una risorsa così importante per l’equilibrio dell’intero pianeta e della nostra sopravvivenza?

Si era partiti bene qualche anno fa con il comitato verde pubblico, che ha elaborato una strategia e linee guida per il verde pubblico in Italia. Poi sono arrivati i primi finanziamenti però rivolti più che altro all’impianto di nuovi alberi dal decreto clima del ministro Costa con due bandi, fondi del Pnrr per forestazione urbana con relative linee guida nazionali.


Quindi su gestione dell’esistente poco o nulla, tutto lasciato ai comuni. Quelli grandi magari hanno competenze e risorse, i medi e piccoli sicuramente no. Anche perché le sfide climatiche pongono nuovi bisogni di formazione, con necessità di conoscenze che finora non servivano.


Concludo dicendo, ci vorrebbero investimenti strutturali a cascata verso i comuni, formazione, e capacità (o obbligo?) di inserire i benefici del verde nei bilanci comunali, in modo da non considerare la gestione degli alberi non solo un costo ma riconoscere il valore (e il ritorno) economico di una foresta urbana ben fatta.

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