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Piramide EvK2 ai piedi del monte Everest: intervista Vittore Verratti

Si è conclusa il 9 novembre scorso la spedizione scientifica in montagna, Lobuje peak -Pyramid:  Exploration and Physiology 2022, coordinata dal professor Verratti, che ha portato 21 persone in alta quota per svolgere esperimenti nel laboratorio più alto del mondo: la Piramide di Desio, ai piedi del monte Everest.

“Lobuje peak -Pyramid: Exploration and Physiology 2022” è il nome della spedizione scientifica in Nepal coordinata dal Prof. Vittore Verratti (medico fisiologo, esperto di Medicina di Montagna dell’Università “Gabriele d’Annunzio” Chieti – Pescara), che ha visto coinvolti 21 partecipanti di età differente, oltre che medici, ricercatori e guide nepalesi di alta montagna.

 La parte scientifica della spedizione sul monte Everest si era prefissa di indagare in primo luogo l’adattamento fisiologico umano a condizioni ambientali oltre i 5000 metri di altitudine. Uno studio che potrà aiutarci a comprendere meglio il funzionamento del corpo umano in condizioni di ridotta disponibilità di ossigeno. Mountain Genius ha fatto qualche domanda al Prof. Verratti per indagare meglio i diversi aspetti di questa spedizione scientifica.

Un progetto internazionale: di che cosa si tratta e da dove nasce l’idea?

“Il progetto è frutto di una collaborazione tra diverse Università italiane ed estere ed Enti di ricerca, volta alla realizzazione di studi di fisiologia e medicina d’alta quota in un luogo particolare: il laboratorio denominato “Piramide di Desio” ai piedi del monte Everest, conosciuto anche come Piramide di Ev-K2-CNR (ora di EvK2Minoprio), coordinato dal dott. Agostino Da Polenza. La collaborazione con Ev-K2 nasce nel 2012 con la spedizione “Gokio Kumbu Amadablam Trek”, rafforzandosi, poi, attraverso la realizzazione di altre spedizioni come quella del 2016 “Pyramid Expedition-2016”. Già allora iniziammo studi di fisiologia, per conto del Prof. Paolo Cerretelli, in particolare con indagini di proteomica sugli abitanti di etnia Sherpa che vivono stabilmente in alta quota nel confronto con gli abitanti di stessa etnia che vivono a quota inferiore, nella città di Kathmandu.

Da questo sodalizio, mantenuto nel corso degli anni e sostenuto da un accordo Quadro tra l’Università “Gabriele d’Annunzio” e l’organizzazione EvK2, lo scorso anno il gruppo della fisiologia di Chieti ha messo nel mirino organizzativo uno studio sperimentale complesso composto da più di 19 gruppi di ricerca con il supporto di ospedali italiani e nepalesi (come il “Santissima Annunziata” di Chieti, “Santo Spirito” di Pescara ed “Omkar Policlinic” di Khatmandu). Così, un gruppo di 21 soggetti sperimentali, di età e forma fisica diversa, ha partecipato alla spedizione “Lobuje peak -Pyramid:  Exploration and Phisiology 2022” impegnandosi nello studio e nelle analisi di parametri fisiologici sotto condizioni ambientali straordinarie”.

Un progetto ambizioso: che cosa volevate studiare e analizzare nella Piramide ai piedi del monte Everest?

“Abbiamo portato avanti diversi esperimenti che poggiano principalmente sulla raccolta di liquidi biologici. Sono state eseguite biopsie muscolari, prelievi ematici, raccolta di saliva, feci, urine e liquido seminale maschile. Gli ambiti esplorati sono tanti e vanno dalla fisiologia cardiovascolare e respiratoria a quella muscolare e renale. Contestualmente, sono stati realizzati anche studi sulla riproduzione umana maschile e femminile, sulla composizione corporea, sul sonno, sulle dinamiche cardiorespiratorie e sull’alimentazione. Insomma, un ventaglio molto ampio di studi “.

Quindi vi siete concentrati sul capire gli adattamenti della fisiologia umana all’alta quota?

“Si, abbiamo cercato di dare delle risposte a quelli che sono gli adattamenti fisiologici ad alta quota anche all’interno di un ragionamento che ha voluto indagare la “differenza di genere”, comparando le risposte adattative coniugate al maschile ed al femminile. Purtroppo, la fisiologia umana degli adattamenti ad ambienti straordinari è stata sempre declinata molto più al maschile; quindi, l’idea è di aprire questa prospettiva di ricerca colmando tale lacuna nello studio del corpo umano.”

Considerando che il principale cambiamento che riscontriamo aumentando di quota è associato alla riduzione della pressione parziale di ossigeno, quali sono alcuni dei parametri analizzati?

“Principalmente si va a valutare la risposta del sistema respiratorio e cardiovascolare. A queste risposte sono correlate strettamente la variazione del sonno che mostra la comparsa di un “pattern respiratorio” detto respiro di Cheyne-Stokes (chiamato anche respiro periodico), un respiro patologico caratterizzato da fasi di apnea (assenza di respirazione) alternate a cicli respiratori brevi e frequenti.  L’ossigenazione dell’emoglobina ematica in alta quota subisce una desaturazione che può essere tanto più critica quanto maggiore è l’altitudine raggiunta e tanto più severa quanto più rapida è la salita in alta quota. Dalla carenza di ossigeno nasce, poi, tutta quella cascata di eventi che definiscono la risposta adattativa del nostro corpo ai cambiamenti in alta quota.”

Cosa succede al corpo umano quando ci ritroviamo in alta quota? A cosa dobbiamo prestare attenzione?

“Possiamo dire che, per effetto della riduzione della pressione parziale di ossigeno, dovuta alla riduzione della pressione barometrica, si va incontro ad uno stato detto di “ipossiemia”, che altro non è se non una riduzione delle molecole di ossigeno trasportate dai nostri globuli rossi per alimentare le cellule di tutto l’organismo. Dunque, questo stato di ipossiemia comporta risposte diverse da parte del corpo, per compensare la ridotta disponibilità di ossigeno. Avremo, nella fase precoce della risposta adattativa, un aumento della frequenza respiratoria attraverso il fenomeno dell’iperventilazione. Contestualmente vi sarà un incremento della frequenza cardiaca a riposo che porterà ad aumentare la quantità di sangue nel circolo ematico. 

Tuttavia, se da una parte l’iperventilazione rappresenta un modo per compensare la mancanza di ossigeno, dall’altra questo innesca un fenomeno detto “alcalosi respiratoria”. Il nostro corpo con l’iperventilazione elimina quantità maggiori di anidride carbonica (una molecola acidofila a potenziale vasoditatatorio) innescando una alterazione del pH e portando a fenomeni di vasocostrizione a livello celebrale. Questo meccanismo è alla base della fisiopatologia del Male Acuto Di Montagna e dell’Edema Cerebrale d’Alta Quota”.

Considerando le condizioni particolare e l’oggetto dello studio, c’è stata una preparazione specifica per i partecipanti e avete avuto criticità nel viaggio?

“I partecipanti sono stati preparati e testati singolarmente con analisi condotte prima della partenza, presso il “Laboratorio di Fisiologia Clinica ed Ipossica” dell’università Gabriele D’Annunzio, per valutarne, attraverso test ipossici, la capacità della risposta adattativa alla quota simulata. Tutto sommato, sperimentalmente abbiamo visto che nessuno dei soggetti ha riportato variazioni allarmanti del “profilo saturemico”. Solo qualche lieve mal di testa transitorio. Supportati da un’equipe medica esperta, abbiamo seguito un piano di salita prudente e classicamente riconosciuto come valido sostando due notti a Namche Bazar (3500 m di altitudine) per garantire un migliore acclimatamento.  

Avete osservato differenze importanti tra uomini e donne? E quali possono essere i risvolti di questi studi?

“Purtroppo non posso anticipare molto, perché i dati (e ne abbiamo una grande quantità) devono essere ancora analizzati approfonditamente. Posso certamente affermare come diversi aspetti molto interessanti stiano emergendo, ma voglio essere cauto perché siamo ancora nella fase iniziale”.

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