Proteggere il Pianeta: i vincitori del Goldman Environmental Prize 2023

Il prestigioso riconoscimento, la cui cerimonia si è tenuta a San Francisco lo scorso 24 aprile, è dedicato a quelle “persone che fanno cose straordinarie per salvaguardare la terra”.

Fondato nel 1989 da Richard e Rhoda Goldman, la coppia volle racchiudere in questo riconoscimento un promemoria riguardante i problemi ambientali, ricordando come tali problemi siano responsabilità di tutti noi, come siano problemi internazionali, e, inoltre, per attirare l’attenzione del pubblico su tali tematiche.

Da oltre trent’anni il premio va a individui che si sforzano in maniera continua e significativa per proteggere e migliorare l’ambiente naturale. Sono spesso persone che operano “dal basso”, coinvolte nelle comunità locali, dove il cambiamento avviene tramite la partecipazione della comunità e dei cittadini.

Di seguito, i vincitori di quest’anno.

Zafer Kizilkaya, Turchia

Ingegnere civile cresciuto ad Ankara, con una formazione da sub, fotografo subacqueo e ricercatore marino. Dopo un viaggio in Indonesia, nel 2012 torna nella sua terra, per scoprire il disastroso stato della costa turchese, quel tratto compreso tra le province turche di Antalya e Mugla; la costa era distrutta per via della pesca intensiva che ha decimato la popolazione marina.

La sua associazione Akdeniz Koruma Dernği (Società per la conservazione del Mediterraneo), nel 2012, collaborando con pescatori locali, contribuisce a istituire la prima area marina protetta e gestita dalla comunità di Gövoka Bay. Da lì, dopo una quantità enorme di raccolta dati, monitoraggi, visite istituzionali e burocrazia, sempre appoggiandosi alle cooperative di pescatori. Ad agosto 2020 il governo turco annuncia l’espansione della rete di aree marine protette nella costa turchese: 350 chilometri quadrati in più con divieto di pesca a strascico e con reti a circuizione e 70 chilometri quadrati in più con divieto totale di pesca.

Alessandra Korap Munduruku, Brasile

Con un passato da insegnante alle spalle, diventa la prima donna a capo dell’associazione degli indigeni Pariri. Opera nel territorio Sawré Muybu, nello stato del Pará, dove vivono alcune comunità indigene Munduruku, e dove la politica di Bolsonaro ha distrutto 12mila chilometri quadrati di foresta solo tra il 2005 e il 2015.

Tramite l’organizzazione di campagne di comunicazione, raccolta fondi, attivismo e monitoraggio del territorio, insieme a 45 capi indigeni e 200 partecipanti, pubblica una dichiarazione formale contro le estrazioni minerarie che stanno distruggendo il paese. Questo, unito alla pressione da loro esercitata, convince il colosso minerario Anglo American a cambiare piani, ritirando le 27 concessioni minerarie già approvate.

Chilekwa Mumba, Zambia

Nei pressi della città di Chingola si trova la seconda miniera di rame più grande al mondo. Questo, negli anni, ha portato alla contaminazione del fiume Kafue, le cui acque venivano usate dai locali per bere, irrigare i campi, lavarsi. Chilekwa comincia le battaglie legali nel 2012 contro la britannica Vedanta Resources, che detiene la maggioranza della KCM, operante sul territorio; convince uno studio inglese a fare causa al colosso, nel tentativo di creare un precedente riguardo la responsabilità britannica su un’impresa da lei controllata. Chilekwa non si limita a dare l’incarico, organizza incontri, traduce materiale informativo, raccoglie informazioni e campioni d’acqua, convince gli abitanti a testimoniare e a fornire prove. Nel 2019 la Corte Suprema gli dà ragione, costringendo l’azienda a un patteggiamento con circa duemila zambiani e, nel frattempo, il governo dello stato africano mette in liquidazione la KCM, salvaguardando quel territorio.

Tero Mustonen, Finlandia

Docente universitario, è fondatore e presidente della Snowchange Cooperative, una rete di associazioni ambientaliste. La sua terra, la Finlandia, è al primo posto al mondo per combustione di torbiere, zone umide e immensi serbatoi di CO2 che immettono nell’atmosfera, ogni anno, il doppio dell’anidride carbonica di auto, navi e aerei.

Nel 2018 Tero inizia ad acquisire territori degradati per ripristinarli e questo suo programma, basato su vecchie conoscenze e moderne tecniche scientifiche, ad aprile 2022 vanta 62 siti su un territorio di 350 chilometri quadrati.

Delima Silalahi, Indonesia

Indigena Batak, fin da giovane collabora come volontaria con l’ong KSPPM, di cui ora è direttrice esecutiva. Nel 2013 una sentenza della corte costituzionale dà agli indigeni la possibilità di rivendicare le proprie foreste. Delima e i suoi colleghi si muovono di villaggio in villaggio per creare consapevolezza in merito, cercando di coinvolgere soprattutto le donne, storicamente escluse dai processi decisionali. Nel frattempo, si incontrano con gli esponenti del ministero e organizzano proteste contro Toba Pulp Lestari, società di cellulosa che ha invaso le foreste primarie indonesiane.

A febbraio 2022, il governo indonesiano assegna l’amministrazione legale di 72 chilometri quadrati di foresta a sei comunità di Tano Batak. Queste ultime si stanno occupando ora di piantare specie native, con l’obiettivo di ripristinare l’ecosistema e renderlo più resiliente di fronte alla crisi climatica.

Diane Wilson, Stati Uniti

La sua è una famiglia di pescatori da ben quattro generazioni e, nel 1989, comincia a notare una riduzione del quantitativo pescato, e inizia a documentare l’impatto ambientale della fabbrica della Formosa Plastics, che, da sola, produce oltre mille miliardi di particelle di plastica al giorno. Dal 2008 comincia ad individuare i punti di scarico, esplora le zone in kayak e a piedi e, negli anni, raccoglie oltre 40 milioni di granuli, collezionando più di settemila foto e video. Nel 2016 cita in giudizio la società, accusandola di aver violato il Clean Water Act e, a dicembre 2019, il giudice le dà ragione, costringendo l’azienda a intraprendere misure di riparazione dei danni costieri e a un risarcimento di 50 milioni di dollari, denaro reinvestito in progetti ambientali e rieducativi. Diane non ha voluto un centesimo.

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