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Degrado forestale in Europa: Cause umane al centro dell'allarme ambientale

L’impatto dell’uomo, con le emissioni di gas serra e le modificazioni climatiche, è al centro della discussione sul degrado delle foreste in Europa.

Le foreste europee stanno subendo un rapido degrado, con una conseguente diminuzione della biodiversità al loro interno. Entro il 2100, si prevede che i servizi ecosistemici Europei subiranno un preoccupante calo, dovuto principalmente allo sfruttamento eccessivo e non sostenibile, all’espansione delle attività umane, che vanno a invadere territori prima appartenenti alla natura e all’acuirsi della crisi climatica.

Studio sul filo Helsinki-Firenze: Il degrado delle foreste europee e la sfida della diversità

Portavoce di questi avvertimenti è l’università di Helsinki, con uno studio pubblicato sul Global Environmental Change e condotto da un team di ricercatori italiani, con la collaborazione del dipartimento di ingegneria di Firenze e dal Joint Research Centre della Commissione Europea di Ispra. Obiettivo della ricerca è comprendere più a fondo il rapido degrado delle foreste in Europa e la riduzione di diversità al loro interno.

Secondo i ricercatori, l’impatto dell’uomo sul declino delle foreste varia in base allo scenario emissivo calcolato, una forbice che parte da uno scenario medio del 15% (di base, la situazione in cui ci troviamo ora), fino ad arrivare ad uno con un’alta concentrazione di CO2, dove si può toccare una quota del 23%.

Ma la maggiore aridità a cui saranno sottoposte le aree mediterranee trasformerà questa dinamica in un fattore che sarà potenzialmente ben più pesante, per paesi come l’Italia, affacciati sul mare, dove le previsioni dello studio parlano di un calo che va dal 52 al 70%.

Migrazione assistita: Una soluzione per bilanciare il degrado delle foreste europee

La bilancia, secondo i ricercatori, in questo caso può essere riequilibrata con una serie di strategie alternative centrate sulla migrazione assistita.

In pratica, si tratta di piantare determinate tipologie di alberi in ambienti che facilitano il loro adattamento, oppure in ambienti simili a quelli della provenienza delle piante dove queste piante non sarebbero riuscite ad arrivare per vie autonome.

Questi provvedimenti, osservano gli autori, “potrebbero ridurre le perdite di servizi del 10%-15% in media in Europa, e persino aumentare la disponibilità di servizi nelle regioni alpine e boreali, ma non nel Mediterraneo”, dove la previsione delle perdite rimane comunque intorno al 33-52%.

Italia: Alla ricerca di alternative per la conservazione delle sue foreste

Come detto, la situazione per i paesi affacciati sul Mediterraneo è ancora più grave, e l’Italia è sicuramente tra le zone più colpite.

Alberi come i faggi, infatti, sono tra le tipologie più colpite, oltre che essere la pianta più presente sulla Penisola.
Diffusa sui Nebrodi e sulle Madonie, sull’Etna, sopra i 500 mt sulle Alpi e i 900 mt sugli Appennini, solo in Abruzzo, Piemonte ed Emilia-Romagna (le tre regioni più popolate da questi alberi), si contano più di 330.000 ettari di boschi e foreste costituite da faggete che, nel 2012, hanno ottenuto anche la benedizione come patrimonio dell’UNESCO, unendosi a quelle dei Carpazi, che ottennero lo stesso riconoscimento già nel 2006.

Al pari degli altri ecosistemi, queste foreste svolgono una serie di ruoli essenziali al mantenimento della conservazione di habitat, clima e attività umane, foreste da cui si ricavano cibo e materie prime, oltre che ricevere benefici di cui si è meno consapevoli, a partire dal sequestro di CO2 o la mitigazione delle alluvioni.

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