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Alpi Apuane: un equilibrio impossibile?

A quasi due mesi dalla tardiva approvazione, da parte del Consiglio regionale toscano, del bilancio preventivo triennale per il Parco delle Alpi Apuane, molti nodi restano da sciogliere. Non si tratta soltanto di assicurare copertura finanziaria agli investimenti, ma di creare un equilibrio sostenibile tra risorse ambientali, attività economiche e tutela delle comunità stabilmente insediate sul territorio. Con delibera del 15 marzo scorso, il Consiglio direttivo ha approvato la proposta di Piano integrato per il Parco (PIP, disciplinato dalla L.R. 30/2015, artt. 27 e 29).

Oltre a un raccordo con i piani di gestione dei siti della Rete europea Natura 2000 e con i piani urbanistici dei Comuni, il PIP prevede la riduzione del 55,7% delle attuali aree di cava (da 1661 a 736 ha)  e una “valorizzazione delle attività economiche a basso impatto ambientale”, come piccole aziende agricole, agriturismi, strutture turistiche ricettive e museali. Si tratta di uno strumento tecnico che è, insieme, l’esito di un difficile confronto tra enti locali, imprese e politiche di indirizzo regionali.

Un “Piano integrato” per il Parco della Apuane

Dai pareri riportati nell’allegato alla delibera emerge una frattura interna, specchio delle molteplici istanze soggettive e del livello di conflitto presenti nell’area.

Da un lato, per il Comitato scientifico mancano una visione d’insieme coerente, “fondata su un sistema di valori condivisi”, e una strategia per la tutela e lo sviluppo dei territori e delle popolazioni che lo abitano; dall’altro, il Consiglio ritiene che il PIP rispetti obiettivi tali da favorire – in linea con l’Agenda ONU 2030 e nell’ambito attuativo del PNRR – “una concreta e progressiva transizione ecologica dell’economia locale”. Sui “valori condivisi”, nutre peraltro una serie di riserve, denunciando “dure contrapposizioni emergenti ogni volta che si è messo mano ad una pianificazione dell’area protetta” e la percepita assenza “di uno spazio comune di proficuo confronto, che sia sintesi delle opposte visioni sul futuro di questo territorio, da decenni divaricate agli estremi tra tutela assoluta ed appetiti estrattivi e venatori”. 

Appetiti che, nel caso della caccia, sembrano in parte temperati dal Piano, con l’aumento del 10,1% dell’area protetta , mentre più complessa  e ‘pressante’ risulta la questione del marmo. Qui il vincolo è forte: i piani regionali (Piano cave e Piano di indirizzo territoriale-paesaggistico) stabiliscono gli “obiettivi di produzione ritenuti sostenibili”. Con poche eccezioni (parete N del Pizzo d’Uccello, Focolaccia versante mare e Retrocorchia), non si contemplano restrizioni all’escavazione e al prelievo nelle cd. “aree contigue di cava” – zone estrattive interne al perimetro del Parco, ma che per legge non ne fanno parte, come ha confermato il Consiglio di Stato nel 2021 – anche sopra i 1200 m, “in considerazione del valore economico e sociale che le attività estrattive rivestono per la popolazione [], la cui presenza sul territorio contribuisce all’equilibrio della montagna”.

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Perplessità

Non sono mancate le perplessità degli osservatori esterni, come Mountain Wilderness o il Cai Toscana, che – in linea con il Comitato scientifico – lamenta la “debolezza strutturale della odierna visione politico-amministrativa, che identifica nelle attività estrattive del marmo l’unica fonte di sviluppo economico territoriale”.

A tacere dei nuovi scontri in Consiglio regionale, permangono le divergenze di prospettiva: accettare le opposizioni tra soggetti posti politicamente su un piano inclinato, o peccare di astratto idealismo per un ‘mondo’ che, per gli interessi coinvolti, somiglia meno a un parco che a un’arena?

Logiche semprevive ed ‘estranee’. Breve excursus sul caso apuano

Il ‘Bianco P’ è un marmo pregiatissimo perché puro: si segue il filone come nelle miniere d’oro e ha un valore compreso tra 2000 e 8000 euro a tonnellata”. Naturalista ed ecologista militante, nato a Massa nel 1938 e figlio di un cavatore, Elia Pegollo parla con gravità serena, rafforzata da anni di impegno civile in difesa dell’ambiente apuano. Lo incontrai nel 2016 a un meeting estivo sulla giustizia ambientale organizzato dalla onlus Mani Tese. 

In quell’occasione raccontò un episodio: “Nel territorio comunale di Massa, i guardaparco hanno di recente effettuato un sopralluogo senza preavviso, accedendo a una lavorazione in galleria e scoprendo un nuovo tronco abusivo: 30 metri misurati al laser. Da lì partono altre diramazioni… Nella sola porzione visitata, sono stati certificati 4263 mc – circa 13000 t – di materiale asportato e non dichiarato. Si trattava proprio di ‘Bianco P’! Il Comune ha subito un danno di milioni di euro, che non si sa da dove sono passati, e che avrebbero potuto risanare le casse per almeno cinque anni”.

L'atto di "sbiancare"

Nel caso apuano, l’atto di ‘sbiancare’ ha un senso sia materiale che metaforico: “Facendo affari”, diceva Pegollo, “si sbiancano la carta, gli alimenti, i cosmetici… L’acqua dei torrenti è bianchissima, satura di residuo da lavorazione (la cd. ‘marméttola’). Le montagne crollano ed espongono una voragine bianca che crea illusioni nella fugace percezione del paesaggio dalla pianura”. In effetti, tagliando in auto la A12, si può pensare: ‘eccole, le montagne del marmo!’, e passare oltre. Oppure ci si ferma, e si visitano i luoghi con adeguato sforzo di memoria, considerando le realtà che hanno scolpito il paesaggio e la sua storia: una dura tradizione di lavoro, il mondo dei cavatori e i moti sociali che diedero forma, tra queste montagne, all’anarchia come organizzazione e non solo come utopia.

Ancora Pegollo: “Si sbiancano le parole, comprese quelle rubricate nei documenti ufficiali: ‘aree contigue di cava’ per enormi bacini estrattivi; ‘agri marmiferi’, che non sono antiche vicinanze di pascolo, ma vaste aree – suolo e sottosuolo – date in concessione dai Comuni alle lobby del marmo; ‘Parco naturale’ per un territorio deputato all’estrazione e alla riapertura di cave sovrapposte ai Siti di Interesse Comunitario, e così via”.

Il dominio delle incognite

Il ‘bianco’ non è solo una ferita orografica aperta, ma il dominio delle incognite: grazie all’industria estrattiva e alle sue derive, si sbiancano i conti sommersi di holding gestite da azionisti di varia nazionalità, che spesso non compaiono, come l’oggetto del loro commercio – soprattutto traffico di rifiuti e loro illegale smaltimento. Il capitale delle società, che si localizzano mediante ‘colonie’ ben radicate secondo logiche mafiose, proviene anche da queste attività e assicura il controllo sul sistema degli appalti. 

Ciò non stupirà troppo quando, in tutta la Provincia, i rapporti con clan della camorra e della ‘ndrangheta sono stati certificati da arresti e indagini incrociate della DIA, oltre che da inchieste avviate dal Consiglio regionale toscano e dalla Fondazione Caponnetto.

Occupazione e salute

In una provincia che presenta un tasso di disoccupazione tra i più alti del Paese (11,7% al 2021), dove il turismo soffre degli effetti di rinnovate dinamiche di potere (avviate  dagli anni ‘80, con il successo e i danni dell’industria chimica) e di una forte dipendenza dall’industria del lapideo (pensiamo a un’opera costosa e inizialmente soggetta a infiltrazioni  come la “Strada dei Marmi”), ambiente, lavoro e salute possono viaggiare su un binario comune? Partecipare della stessa realtà? Oppure restano diminuiti – quando non schiacciati – da logiche “estranee” alla loro natura di diritti fondamentali, come quella del ricatto occupazionale, sbandierata per occultare favori alle imprese e il lavoro nero in cava? 

A tacere delle malattie respiratorie e di altre gravi patologie, in questa zona i tumori della pelle hanno registrato un’incidenza 3 volte più alta rispetto alla media nazionale.

È davvero un’ottimistica astrazione il rifiuto, avanzato dal Comitato scientifico del Parco, di vedere come “contrapposte e alternative le finalità di tutela delle risorse territoriali con le istanze di promozione economica e sociale delle comunità insediate e delle loro attività” ?

Convertire l’economia del Parco, localizzando e limitando un tipo di estrazione qualitativa, tutelare la salute dei cittadini e dare qualche possibilità alle piccole aziende non contribuisce alla ‘buona immagine’ della Toscana? Oppure occupazione e salute rimarranno i termini di uno scontro tanto selvaggio quanto forzato, come quando, nell’estate 2016, i Comuni di Carrara e Fivizzano, appoggiati dalla Provincia e dal Parco, attivarono una via che collegava le cave dei Monti Sagro e Borla a Carrara, facendo passare i camion corazzati per le vie del centro… Con buona pace della rinascita politica, prima che ambientale, di un territorio unico in Europa.

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