Crediti immagine: Canva

Suoni della Terra tra arte e scienza

Tra affascinanti progetti artistici e archivi online, da diverso tempo prende piede una nuova onda musicale che racconta i cambiamenti climatici attraverso i suoni della terra.

Mentre molti documentari utilizzano un approccio visuale al cambiamento climatico globale, diversi gruppi, composti da talentuosi creativi, hanno cominciato ad utilizzare il suono come alternativa, esplorando, tramite la musica, le trasformazioni in atto.
Professori del clima e attivisti ambientali, fino ad artisti di musica d’ambiente, le registrazioni delle estremizzazioni climatiche che stanno accadendo sulla Terra offrono una prospettiva differente sulle forze che stanno rimodellando il nostro mondo.

Dallo scioglimento del permafrost alla contrazione dei ghiacciai svizzeri, passando per il crescere rombante di una tempesta, questi artisti, ormai da decenni, campionano i suoni provenienti dalle conseguenze causate dal nostro passaggio sulla Terra.

Qui, parliamo di alcuni tra i più rappresentativi.

I suoni della Terra di Jana Winderen

Musicista e attivista norvegese, Jana Winderen da vent’anni trasforma i suoni della natura in un collage d’ambiente.
Gran parte del suo lavoro si concentra su toni bizzarri e ultraterreni del ghiaccio che si scontra e si spezza e si scioglie. Le sue registrazioni, provenienti da regioni polari come ad esempio la Groenlandia, includono suoni fluidi e discendenti che possono ricordare dei missili in picchiata o gli schiaffi percussivi di un batterista. Questi album dimostrano la presenza di un’incredibile diversità e chiarezza musicale nei movimenti del ghiaccio.

Il suo lavoro del 2010, Energy Field, crea una sorta di poesia tonale ambientata in paesaggi ghiacciati, brulicanti del dramma spesso invisibile di fiumi congelati e ghiacciai in movimento.

“Ho deciso molto presto di lavorare con il materialeimmateriale che è il suono, per quanto fisico possa essere”, ha spiegato Winderen a Forbes, nel 2021. “Si vive un’esperienza piuttosto fisica, anche se non occupa nessuno spazio”.

“Quando vedi un oggetto, lo vuoi comprare. Preferisco che le persone abbiano un’esperienza da portare con sé e con cui associarsi, invece di possedere effettivamente un oggetto, che non costi necessariamente qualcosa per essere sperimentato, ma consista solo nell’atto stesso di ascoltare”.

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I suoni della Terra di Philip Samartzis

È bastata una bufera di neve antartica, all’artista del suono e ricercatore australiano Philip Samartzis, per rendersi conto del potenziale trasformativo delle canzoni di ghiaccio.

Philip registra suoni ai confini del mondo dal 2010, da quando ha ottenuto una borsa di studio artistica per documentare l’acustica della Davis Research Station, in Antartide, che ha portato poi a questa registrazione.

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In seguito, ha spostato il suo lavoro sulle Alpi svizzere. Il suo nuovo album, Atmospheres and Disturbances, uscito lo scorso marzo, traccia la rapida disintegrazione dell’ambiente attraverso le urla sonore di un paesaggio che si scioglie.

“Quando parlo con gli scienziati del cambiamento climatico, sono tutti già saturi”, racconta Samartzisal al New York Times. “In sostanza lo sanno tutti, quindi dicono Perché dovrei ascoltare te e il tuo rapporto?”, continua, “Queste registrazioni potrebbero non essere scientificamente valide, ma è un modo completamente diverso di comunicare la conoscenza, una diversa apertura all’esperienza”.

I suoni della Terra di Thomas Koner

Il produttore tedesco Thomas Koner estrae musica dallo scioglimento dei ghiacci da più tempo di chiunque altro. Ha iniziato negli anni Novanta quando, le sensazioni provate nel guardare la nebbia scorrere attorno a un ghiacciaio norvegese, gli hanno cambiato la vita.

Ciò lo ha portato a creare una trilogia di album di musica d’ambiente, ispirati al timore reverenziale degli spazi artici e alla lenta inevitabilità delle sue vaste formazioni di ghiaccio. L’album del 2012, Novaya Zemlya – una testimonianza dei ghiacciai nell’arcipelago artico – potrebbe essere stato il suo ultimo lavoro.

Album come Daikan, poi, evocano un innegabile senso di isolamento e indifferenza, in risposta alle estremità glaciali del mondo.

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