Studio rivela: le Alpi ci mostrano il clima del futuro

Uno studio condotto dall’Università di Trieste ha ricostruito le condizioni paleoclimatiche delle Alpi mettendo in luce notevoli differenze rispetto all’attuale surriscaldamento.

Il riscaldamento delle Alpi, che procede a un ritmo quasi doppio rispetto alla media globale, è un fenomeno che offre una visione chiara delle tendenze climatiche future. Secondo il climatologo Luca Mercalli, intervenuto sul tema in un’intervista per MountainGenius, i ghiacciai alpini non si salveranno neanche con il rispetto dei limiti degli accordi di Parigi: la loro fine è irreversibile. A queste parole si aggiunge un recente studio dell’Università di Trieste, guidato dalla ricercatrice del CNR Costanza Del Gobbo, che ha ricostruito in quattro anni di lavoro le condizioni paleoclimatiche della regione, mettendo in luce notevoli differenze rispetto all’attuale surriscaldamento.

Le Alpi come luogo di studio privilegiato

Finanziata dall’International Centre for Theoretical Physics e supervisionata dal Premio Nobel Filippo Giorgi (ICTP), Renato Colucci (CNR) e Giovanni Monegato (CNR), l’analisi pubblicata sulla rivista “Climate of the Past” apre nuove frontiere nell’uso dei modelli climatici regionali per studiare i climi passati. I risultati dimostrano che le Alpi sono un’area geografica che può dire molto sull’andamento del nuovo clima.

Il processo di surriscaldamento attualmente in corso è contrario a quello dell’ultima glaciazione, dove di contro era il raffreddamento a influenzare il pianeta. Durante quell’era geologica, avvenuta circa 26mila-21mila anni fa, il nord Italia era caratterizzato da un clima molto più freddo dell’attuale, con temperature medie inferiori di 6,8°C rispetto ai livelli preindustriali e di quasi 9°C rispetto alle rilevazioni odierne. Ghiacciai massicci si estendevano fino alle pianure pedemontane, come dimostrano le morene frontali in diverse aree. Nonostante ciò, le precipitazioni erano inferiori del 15% rispetto ai giorni nostri, con una maggiore carenza in estate.

L’ultima glaciazione

Gli esperti dell’università di Trieste hanno usato un modello climatico regionale sviluppato dal Centro internazionale di Fisica teorica (ICTP), che ha mostrato risultati sovrapponibili alle evidenze geomorfologiche e geologiche. Questo modello ha migliorato le stime sulle precipitazioni, spesso errate nei modelli precedenti, soprattutto in relazione alle complesse morfologie alpine.

Nel periodo della glaciazione, l’estate era la stagione con le maggiori variazioni climatiche, con una diminuzione termica di 7,3°C rispetto ai livelli preindustriali: nevicava già attorno ai 1000 metri di quota, le pianure del nord Italia si ricoprivano di neve da novembre a maggio. Inoltre, le piogge estive erano più abbondanti sulle Alpi settentrionali, mentre oltralpe l’inverno era freddo e secco a causa dell’alta pressione estesa dalla Scandinavia fino alla Siberia.

Oggi

Il presente, invece, vede le Alpi riscaldarsi a un ritmo allarmante e irreversibile. Uno studio recente del CNR ha rilevato che, nell’ultimo anno, le vette alpine hanno perso il 6% del loro volume residuo di ghiaccio. Se le emissioni antropiche rimarranno invariate, si stima che la temperatura media annua sulle Alpi, a quote superiori ai 1500 metri, per il periodo 2001-2030 sarà di circa -0,2 °C: un aumento di oltre mezzo grado rispetto al periodo 1991-2020 e di 1,5°C rispetto al 1961-1990.

Lo studio dell’Università di Trieste ha fornito dettagli fondamentali per la comprensione delle dinamiche climatiche in aree geograficamente complesse come le Alpi. Nonostante il futuro sia comunque critico per le nostre montagne, resta la necessità di agire contro il surriscaldamento globale: solo così potremo garantire ai ghiacciai alpini la possibilità di resistere più a lungo possibile.

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