Crediti immagine: Facebook Ermanno Salvaterra

Ermanno Salvaterra, muore in Dolomiti l’uomo del Torre

Un banale incidente si è portato via Ermanno Salvaterra. Guida alpina, sciatore estremo e leggenda dell’alpinismo patagonico. È precipitato dal Campanile Alto.

Un incidente banale, sulle montagne di casa, si è portato via Ermanno Salvaterra. Classe 1955, uno dei maggiori conoscitori del Cerro Torre, in Patagonia. Una delle montagne più affascinanti al mondo, con quei pinnacoli granitici, delle lame quasi, che si innalzano a bucare il cielo. Precipitato per 20 metri salendo lungo la Hartmann-Krauss alla cresta ovest del Campanile Alto. Quando i soccorsi sono arrivati sul posto non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso. Illeso invece il compagno di cordata.

Crediti immagine: Facebook Ermanno Salvaterra

Ermanno Salvaterra, una vita per la montagna

Per Ermanno Salvaterra la montagna era una questione di DNA. Alpinista, sciatore estremo, recordman nel chilometro lanciato. Ma anche scrittore e storico dell’alpinismo.
Nato a Pinzolo (TN), in una famiglia di rifugisti, inizia a frequentare fin da subito le montagne di casa. I genitori dal 1948 hanno la gestione del rifugio XII Apostoli, sulle Dolomiti di Brenta. Gestione che successivamente sarebbe passata a Ermanno, che ne avrebbe fatto la sua casa fino al 2007. Una vita intera immerso tra pareti calcaree, verticali e vertiginose. Attrazione fatale.
La passione per la montagna è travolgente, e il talento anche. Nel 1979 diventa guida alpina e in breve porta un nuovo modo di intendere l’alpinismo tra le Dolomiti. In una manciata di anni si rende protagonista di aperture di vie moderne. Via Super Maria e Ultimo Sole al Crozzon di Brenta; Via Delle Aspiranti guide ed Elefanti Viola al Pilastro Bruno. Senza dimenticare le molte aperte tra il Campanile Basso, la Cima d’Ambiez o Cima d’Agola. E ancora i concatenamenti solitari. Nel 1989 si rende protagonista di una cavalcata straordinaria, in sole 11 ore e 58 minuti collega tra loro il pilastro dei Francesi sul Crozzon di Brenta, la parete est del pilastro della Cima Tosa, lo spigolo Graffer sul Campanile Basso, la parete est della Cima Brenta Alta, il diedro Oggioni sul Campanile Alto.
Ma la vera anima di Ermanno esce e si svela solo nel 1982, quando parte per la sua prima spedizione in Patagonia. Obiettivo? La Via del Compressore, lungo lo spigolo sud-est del Cerro Torre. Una via mitica, costellata di polemiche, e forse per questo così affascinante.
Dopo sarebbe toccato al Fitz Roy e ad altre cime, ma in qualche modo la sua attenzione era sempre rivolta alla “sua” montagna e da ogni vetta il suo sguardo andava alla ricerca di quel pinnacolo inconfondibile. Voleva tornare sul Cerro Torre, e l’avrebbe fatto. Oggi quella montagna iconica ai confini del mondo conserva cinque nuovi itinerari firmati Salvaterra e una prima salita invernale.
Ha vissuto esperienze in Alaska, sull’Isola di Baffin e in California. Ma la Patagonia era la Patagonia. Ci è tornato per ben venti volte, girando documentari e scrivendo libri capaci di raccontare un mondo lontano, fatto di estremi e di passione, di sangue e sorrisi sulle labbra. Attivo fino all’ultimo se n’è andato tra quelle montagne dove ha scoperto la sua passione, dove ha trovato il suo talento. Se n’è andato “L’Uomo del Torre”, così lo chiamavano, ma rimane il suo spirito granitico che si innalza dai ghiacci come una lama a trafiggere il cielo.

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