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Il cambiamento climatico e l'evoluzione dei ghiacciai: Intervista al glaciologo Claudio Smiraglia sulla transizione da bianchi a neri

Il fenomeno del ghiacciaio nero, che si può osservare andando sul Ghiacciaio del Miage, è l’occasione per vivere una montagna diversa, ricca di una biodiversità mai vista prima.

Le montagne rivestono un ruolo cruciale nel sistema climatico globale. Sono inoltre, fonte di numerosi fiumi che alimentano interi ecosistemi, fornendo acqua potabile, irrigazione per l’agricoltura e risorse idroelettriche per la produzione di energia. Ma anche uno scrigno di biodiversità e di servizi ecosistemici. Oggi però è sempre più evidente un declino significativo dei ghiacciai di tutto il mondo dovuto a diverse cause, tra le tante, quella antropica.
Abbiamo incontrato il professore Claudio Smiraglia, padre della glaciologia italiana e membro del Comitato Glaciologico Italiano, per approfondire il fenomeno dell’evoluzione da ghiacciaio bianco a ghiacciai nero, una transizione dovuta al cambiamento meteoclimatico.

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Le grandi montagne bianche sono da sempre spettacolo per gli occhi di tutti, statiche e imponenti descrivono paesaggi suggestivi, ma sono davvero masse immobili come sembrano?

I ghiacciai coprono una superficie veramente notevole (circa un decimo delle terre emerse), e sono concentrati prevalentemente nelle calotte polari dell’Antartide, dove troviamo quasi il 90% del ghiaccio terrestre. Diversi per dimensioni dalle grandi calotte polari sono i ghiacciai delle catene montuose come le Alpi, Himalaya e le Ande, formati da ghiaccio, neve e detriti e dotati di movimento dall’alto verso il basso per gravità. Non sono infatti immobili come sembrano, sono corpi fatti di materia in continuo moto. Il movimento è ciò che distingue questi corpi naturali da semplici nevati. Di conseguenza il loro muoversi, influenzato da diversi fattori (atmosferici e geomorfologici) comporta cambiamenti e trasformazioni continui.

Perché si parla sempre più di ghiacciai neri? Esiste una distinzione dai ghiacciai bianchi?

Quello che stiamo osservando oggi è la transizione da debris free glacier a debris cover glacier (da “ghiacciai bianchi” a “ghiacciai neri”). Sta avvenendo una modifica di quella che è l’immagine che abbiamo del ghiacciaio, cioè di quelle masse affascinanti bianche che riflettono la luce. Questa immagine ormai è sempre più fantasiosa. Oggi si sta osservando, in quasi tutti i ghiacciai, una transizione verso colorazioni sempre più scure della superficie, perché i detriti hanno preso il posto di ghiaccio e neve.

A cosa è dovuta questa transizione?

Quando un ghiacciaio perde il suo stato di equilibrio non solo perde superficie e lunghezza, quindi arretra, ma perde anche spessore e nelle parti più elevate il ghiacciaio può abbassarsi anche di decine di metri. Le pareti prima coperte dal ghiaccio restano libere non più sostenute dal ghiacciaio e quindi si osservano crolli continui di roccia di varie dimensioni che ne modificano l’aspetto.

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Lo strato di detriti, oltre a cambiare la colorazione influenza lo stato del ghiacciaio?

Si, la presenza di detriti crea una barriera ai raggi solari. Questo modifica l’interazione con il sole riducendo la fusione del ghiaccio sottostante. Quando lo strato di detriti raggiunge un certo spessore chiamato spessore critico (può essere di pochi centimetri) l’energia solare non riesce ad arrivare al ghiaccio sottostante, poiché il detrito roccioso è un cattivo conduttore, e quindi la fusione viene rallentata. Chiaramente maggiore è lo spessore, maggiore è la protezione.
Questo fenomeno muta completamente la faccia del ghiacciaio e il detrito sopraglaciale diventa terreno fertile per lo sviluppo di una biodiversità molto ricca e inaspettata. Quindi sul detrito sopraglaciale inizia a svilupparsi una vegetazione ricca di specie arboree (ad esempio larici, abeti, salici), arbustive ed erbacee.

Ci sono esempi dove questo fenomeno è avvenuto?

Si, il ghiacciaio del Miage, sul versante italiano del Monte Bianco. Qui grazie allo spessore del detrito, che nel settore inferiore arriva a 2 metri circa, il ghiacciaio si è trovato a ospitare sulla sua superficie una vera e propria piccola foresta, mentre le specie vegetali registrate e studiate da esperti botanici sono almeno una cinquantina.

Curioso questo fenomeno, ma è una novità o era già accaduto in passato?

I ghiacciai da sempre subiscono cambiamenti e variazioni, sono soggetti a fenomeni di arretramento alternati a periodi di avanzamento. L’equilibrio tra accumulo invernale di neve e fusione estiva definisce, possiamo dire, un ghiacciaio in salute. Dal periodo della Piccola Età Glaciale (circa 1550-1850), in cui abbiamo registrato l’ultima grande fase storica di espansione dei ghiacciai, dovuta a fenomeni astronomici e vulcanici, si è susseguita una fase di regresso interrotta solo da piccole pulsazioni positive, come quella del 1970-1985. Negli ultimi decenni la regressione è stata veloce e accelerata, fenomeno causato in larga parte dalla nostra impronta perché di fatto stiamo modificando il sistema atmosfera. Anche per questo motivo il “ghiacciaio nero” è un elemento del paesaggio montano sempre più diffuso.

La situazione attuale di crisi dei ghiacciai terrestri è indice del fatto che prima o poi spariranno?

Non è ovviamente possibile avere una data precisa sull’estinzione totale dei ghiacciai terrestri. È vero che, se i ritmi di utilizzo di combustibili fossili non rallentano, le cose continueranno a peggiorare; secondo gli scenari proposti dai modelli più avanzati si può stimare che la quasi totalità dei ghiacciai alpini al di sotto dei 3500 m sarà estinta entro la metà del nostro secolo. Questo non deve scoraggiare, dobbiamo lavorare sulla riduzione dei consumi, avanzamento tecnologico, strategie di mitigazione e di adattamento e rivedere il nostro modo di vivere questa nuova montagna.

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