La storia di George Everest e la grande mappatura dell’India

In pochi sanno che il cartografo britannico George Everest, nato nel 1790 e morto nel 1866, ha sempre rifiutato l’intitolazione della più alta montagna della Terra alla sua persona.

Per gli addetti ai lavori, e forse non solo loro, è risaputo che la montagna più alta del mondo è intitolata a George Everest, geografo e cartografo britannico nato nel 1790 e morto il 1° dicembre 1866 a Greenwich. In realtà, quello che noi chiamiamo Everest per i nepalesi è rimasto Sagarmatha, “dio del cielo”, che poi è come si chiama il Parco Nazionale dentro a cui si trova il primo dei 14 Ottomila, nella regione del Solukhumbu, nel Nepal orientale. L’altezza di questa montagna fu misurata da un matematico indiano, Radhanath Sikdar, che nel 1852 lo chiamò Peak XV. George Everest, tuttavia, la chiamò sempre Chomolugma, la “grande madre”, come i tibetani, rifiutando l’intitolazione alla sua persona proposta dal suo allievo e successore Andrew Scott Waughn e accettata dalla Royal Geographical Society nel 1856.

La grande mappatura dell’India

L’India non era ancora formalmente una colonia inglese quando George Everest vi andò ad abitare, nel 1806, dopo gli studi accademici. All’epoca, infatti, era la potente Compagnia delle Indie di fatto a governare. Il suo talento per la matematica e l’astronomia lo resero un ottimo agrimensore al servizio del Great Trigonometrical Survey of India (la Grande indagine trigonometrica), di cui divenne sovrintendente dal 1823 al 1843. Fu quell’ufficio a condurre le misurazioni delle montagne più alte della terra, dall’Everest (8848 metri) al K2 (8611 metri), nelle catene dell’Himalaya e del Karakorum, nell’epoca d’oro della mappatura di tutta l’India.

Everest conduceva le misurazioni in maniera estremamente accurata e precisa. Non possedeva strumenti avanzati come il laser e il sistema satellitare di gps, in uso oggi per effettuare analoghe rilevazioni. All’epoca infatti lo strumento più usato era il teodolite, che si ritrova nelle descrizioni di moltissime spedizioni dell’Ottocento. Everest allora inventò le sue apparecchiature, grazie alle quali riuscì anche a misurare in maniera precisa la distanza dell’arco di meridiano che va dalla estrema punta meridionale dell’India al Nepal orientale, dove si trova la catena himalayana.

Un lavoro eccezionale

Cagionevole di salute, contrasse parecchie malattie anche gravi, come l’epatite, la malaria e la febbre tifoidea, manifestando i sintomi della cosiddetta “Sindrome del cappellaio matto” causata dal mercurio che ingeriva proprio per curarsi. Questo costante entrare e uscire dalle malattie non gli impedì di portare a termine un lavoro eccezionale, che gli valse l’ingresso nella prestigiosa ed esclusiva Royal Geographical Society che avrebbe poi approvato l’intitolazione di quella vetta proprio a lui, nello stesso anno in cui veniva conquistato il Cervino. Da parte di un inglese, ovviamente. Insignito del titolo di sir dalla Regina Vittoria, che regnava ormai anche sulla colonia indiana, morì a 76 anni, nel 1866, per cause naturali, senza mai aver visto quella vetta speciale che oggi lo ricorda a tutto il mondo.

La misurazione del monte Everest

Quando accettò le misurazioni svolte da Radhanath Sikdar, che davano quota 8.840, Waughn si preoccupò di verificarle attentamente, prima di proporle alla Royal Geographical Society. Da allora l’Everest è stato misurato diverse altre volte, sfruttando tutti gli avanzamenti tecnologici nel campo delle rilevazioni geodetiche. L’attuale quota di 8.848 metri risale al 1954. Da segnalare il caso del 1987, quando Ardito Desio, Agostino Da Polenza e Alessandro Caporali si ritrovarono a verificare se davvero il K2 fosse più alto dell’Everest: usarono in quell’occasione per la prima volta il sistema gps, confermando il primato del Chomolungma che anzi risultò loro alto 8.872 metri. Da Polenza tornò a misurare il Tetto del Mondo ancora nel 2004, con EvK2CNR, per cui guidò la spedizione al K2 in concomitanza con i 50 anni della prima salita. Il gps, per la prima volta usato con un georadar per rilevare non solo l’altezza della roccia, ma anche lo spessore del manto nevoso, diede come risultato 8.848,82 metri.

Nel 2020 infine una rilevazione congiunta fra Cina e Nepal, al cui confine si trova l’Everest, condotta dopo il potente terremoto del 2015 per verificare che il sisma non avesse causato alterazioni significative nelle altezze delle montagne interessate, fece sapere al mondo che il Monte Everest si attesta a quota 8.848,86 metri.

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