Il Sentiero del Silenzio, sulle orme di Liliana Segre

Ha inaugurato lo scorso 8 dicembre il “Sentiero del Silenzio”, che ripercorre i passi compiuti da Liliana Segre e da suo padre Alberto nel tentativo di fuggire verso la Svizzera, l’8 dicembre 1943.

Ottanta anni fa Liliana Segre, all’epoca tredicenne, e suo padre Alberto cercarono di passare la frontiera svizzera, insieme a due anziani cugini. Si trovavano in Valceresio, nel Varesotto, diretti ad Arzo, in Canton Ticino, ma proprio quando pensavano di avercela fatta, penetrando oltre la fitta rete di confine, capirono che invece le autorità elvetiche li avrebbero respinti: era l’8 dicembre 1943 e fu per loro l’inizio della fine.

L’associazione Amici del Monte Orsa ha ricostruito l’itinerario che percorsero, trasformando il dolore in memoria con l’inaugurazione del “Sentiero del silenzio”, dedicato a tutti gli ebrei che durante la Seconda guerra mondiale cercarono la salvezza oltre il confine: si stima che fra il 1943 e il 1945 furono circa 45.000 quelli che ci provarono da sud (Grigioni, Ticino e Vallese), di cui quasi 6.000 ebrei italiani, stando allo storico Michele Sarfatti, a lungo direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano. Migliaia furono respinti, anche se tutt’oggi è difficile per la Svizzera ricostruire un numero preciso, e centinaia di loro finirono nei lager. Molti passarono proprio dalla strada dei Segre, che poi era la strada dei contrabbandieri che imperversavano in quella zona da molto tempo prima.

La vicenda di Liliana Segre

Il ripristino dell’itinerario percorso dalla famiglia di Liliana Segre durante la fuga verso la Svizzera si deve all’associazione Amici del Monte Orsa, grazie anche al sostegno delle amministrazioni comunali di Clivio, Saltrio e Viggiù, e come ha spiegato uno dei fondatori, Carlo Gavarini, è venuta proprio leggendo le descrizioni precise di quei luoghi fatte da Segre in diversi suoi libri. Si chiama “Sentiero del Silenzio” perché fu affrontato in silenzio. Dopo una notte insonne, in silenzio i quattro camminarono mestamente attraverso boschi meravigliosi diventati improvvisamente cupi spettatori dell’umana tragedia. In silenzio seguirono la strada indicata dai loro traghettatori, contrabbandieri che ogni tanto insieme alle merci trasportavano persone (persone che per i nazi-fascisti valevano meno di quelle merci). In silenzio il padre di Liliana prese i vecchi cugini in spalla, perché da soli non ce l’avrebbero fatta ad attraversare scarpate scoscese fatte di pietre da scavalcare con attenzione. In silenzio guardarono le loro valigie buttate giù dai contrabbandieri dall’ultimo dirupo, quando ancora credevano che quegli ultimi ricordi di una vita normale potessero ancora servire a qualcosa. Solo un grido di gioia scappò quando videro le guardie svizzere, pensando di aver raggiunto una meta sicura. Poi fu di nuovo silenzio durante le lunghe ore che Liliana, il padre e i vecchi cugini passarono al comando di polizia, dove le autorità elvetiche decisero alla fine che Alberto Segre non era altro che un banale disertore che cercava solo di scappare ai suoi doveri. A nulla valse spiegargli che in quel momento gli ebrei in patria erano considerati nemici della Repubblica di Salò, la sua ignoranza lo rese sordo alle suppliche di una ragazzina di 13 anni che provò a smuoverlo perfino inginocchiandosi ai suoi piedi. L’unico effetto fu quello di ottenere l’irricevibile proposta di separarsi dal padre, subito scartata.

Nessuna parola può commentare, ancora oggi, quella decisione che cambiò per sempre le loro vite. In silenzio i quattro furono riportati indietro e in silenzio finirono tutti ad Auschwitz da cui, come sappiamo, solo Liliana si salvò. Quel silenzio fu da un lato inevitabile rassegnazione, dall’altro indifferenza. Quella da cui Liliana Segre ha passato tutta la vita ad ammonire di stare in guardia, come dal peggiore dei peccati che può commettere un essere umano contro un altro. L’indifferenza uccide, la memoria rende liberi.

La Senatrice a vita, classe 1930, non ha voluto partecipare all’inaugurazione, mandando il figlio, che si chiama Alberto come l’adorato padre, ucciso ad Auschwitz nel 1944: è ancora troppo forte il dolore che le suscita la vista di quei luoghi e il ricordo della felicità spezzata dalla cruda decisione degli svizzeri.

Il percorso

Si parte da piazza Albinola a Viggiù (480 metri) per arrivare al Colle Oro a Saltrio (750 metri), al confine svizzero. Il dislivello è di circa 300 metri, per 4 km percorribili in 2 ore all’andata e 1,45 ore al ritorno. Il percorso è scandito da strutture in metallo dove sono scolpite le “impronte” degli ebrei fuggiaschi e un QR-Code, fruibile da smartphone, grazie a cui ci si può fermare a riflettere su quello che è accaduto, a Liliana Segre ma anche a migliaia di altre persone come lei, in cerca di un riparo dalle persecuzioni nazi-fasciste.

Le narrazioni previste costituiscono un percorso di accompagnamento all’installazione finale posizionata in corrispondenza dell’allora linea di confine fra Italia e Svizzera. L’opera è concepita come simbolo a memoria di quanto avvenuto l’8 dicembre 1943: è stata ricostruita la porta di confine come era fatta allora e recuperata anche la rete, mentre una ditta di Saltrio ha riprodotto le valigie buttate giù da una scarpata.

Il “Sentiero del Silenzio” si incrocia con la “Via delle Aquile randagie”, così chiamata dal nome del gruppo scout di Milano e Monza che aiutò migliaia di persone in fuga, non solo ebrei, fornendo loro documenti falsi e supporto logistico nell’attraversamento della Valceresio, agendo in clandestinità fra i paesi di Besano, Clivio e Viggiù. Questo percorso si dipana per chilometri lungo la linea Cadorna, di cui comprende bunker, cunicoli e trincee, fino a giungere al Monte Orsa, che con il Pravello, il Monte San Giorgio e le cave di Viggiù costituisce una delle tappe da visitare in Valceresio.

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