- Dicembre 22, 2023
- 5:00 pm
Gasherbrum I, la prima salita invernale
Il 9 marzo 2012, alle 8.30 locali, gli alpinisti polacchi Adam Bielecki e Janusz Gołąb raggiungono la vetta del Gasherbrum I (8080 m), riuscendo nella prima salita invernale all’undicesima montagna della Terra.
L’Everest è stato il primo, l’Ottomila che ha aperto la strada all’himalaysmo invernale. Il sogno di una generazione di polacchi, che voleva vivere l’esplorazione, che voleva entrare nella storia.
32 anni dopo, il 9 marzo 2012, la nuova generazione di alpinisti polacchi, guidati da chi ha scritto la storia, raggiungeva la cima del Gasherbrum I per la prima volta in inverno. Erano le 8.30 locali quando Adam Bielecki e Janusz Gołąb si sono fermati sugli 8080 metri dell’undicesima montagna più alta della Terra. Con il volto incorniciato di ghiaccio, completamente disidratati e consapevoli che la discesa sarebbe stata lunga, non si sono goduti nulla di quel momento. Nella loro testa c’era solo l’idea di riprendere il cammino verso valle, dove la salita si sarebbe realmente conclusa. L’alpinismo invernale (l’himalaysmo soprattutto) è così, non ci si gode il momento. Si soffre, invece. È l’arte dalla sofferenza, dicevano i polacchi degli anni Ottanta che si cimentavano come super eroi con le condizioni ben più che estreme offerte dall’altissima quota nel corso della stagione fredda.
Questione di meteo
In inverno la meteo è tutt’altro che stabile, anzi. È un gioco di pazienza, seguito da attimi di frenetica attività. Chi è stato ai campi base delle più alte montagne della terra nel corso della stagione invernale lo sa bene. Buona parte del tempo lo si passa chiusi nelle tende, ad aspettare. Poi arriva la notizia di un’alta pressione in arrivo e tutto si muove con rapida frenesia. Chi sa aspettare, vince. E i polacchi questo lo sanno bene. Soprattutto lo sa il capo spedizione Artur Hajzer, già primo salitore invernale dell’Annapurna insieme a Jerzy Kukuczka.
Eccoci quindi ai primi giorni di marzo, con l’inverno ormai agli sgoccioli e la montagna che pare non volersi far salire. Ma non tutto è perduto, perché finalmente arriva un’ultima piccola finestra di bel tempo. L’ultima opportunità per il primato. A tentare la cima lungo la via Giapponese, sul versante nord-ovest del Gasherbrum I sono, appunto, Adam Bielecki e Janusz Gołąb che nelle prime ore del 9 marzo 2012, alla luce delle frontali, lasciano campo 3. Sopra di loro ci sono mille metri di dislivello da superare e il termometro segna -35 gradi.
I due si muovono senza bombole d’ossigeno, e con queste temperature la progressione è lenta. In un’ora guadagnano appena 100 metri di quota. E non possono nemmeno bere perché, quando ci provano, l’acqua nelle borracce è completamente ghiacciata.
L’alba li accoglie ancora in salita. Ormai non manca molto, ma lo sforzo è estenuante. Di scendere non se ne parla, dopo tutta quella fatica. Sarebbe impensabile. Poi ecco che la pendenza diminuisce, oltre non si può andare. Cima.
Giusto il tempo di qualche foto e via, si riparte in discesa. Più rapidi possibile. Alle 14 sono al terzo campo. Fanno un spuntino e si riposano, poi ancora giù fino a campo 2 dove trovano il capo spedizione Artur Hajzer e lo scalatore pakistano Shaheen Baign che li accolgono vincitori e li aiutano a riposare. Il giorno dopo poi, insieme, raggiungono il campo base dove oltre a festeggiare Bielecki e Gołąb fanno i conti con gli effetti del freddo e della disidratazione. Qualche bruciatura in faccia e un congelamento all’alluce per Bielecki. Un piccolo pegno per un grande risultato.