Carlo Budel, la sentinella delle Dolomiti

Ripubblicato in questi giorni il volume “La sentinella delle Dolomiti”, il libro che racconta la storia di Carlo Budel, eclettico gestore di rifugio che dimostra a tutti come si possa sempre cambiare.

Cambiare si può. Anche se hai 44 anni, anche se il tuo destino sembra già segnato – da un sicuro lavoro in fabbrica, ma anche dall’alcolismo –, anche se non sai dove vuoi andare. Basta volerlo. “Il primo passo non ti porta dove vuoi, ma ti toglie da dove sei” ha scritto Alejandro Jodorowski, regista e sceneggiatore. Il resto è futuro da plasmare con le proprie mani. È di questo che parla Carlo Budel in “La sentinella delle Dolomiti. La mia vita sulla Marmolada a 3343 metri d’altitudine” (pp. 144, 16,00 euro), di cui Ediciclo ha appena pubblicato una nuova edizione ampliata, rispetto alla prima del 2019, che comprende alcune riflessioni successive alla tragica valanga del 3 luglio 2022. Una «disgrazia senza colpe» che ha cambiato il rapporto con la Regina delle Dolomiti: Budel è stato coinvolto fin dall’inizio, come testimone, ma soprattutto si è sentito partecipe emotivamente del lutto che ha colpito le famiglie delle 11 vittime. A novembre 2023 è stata ripristinata la Via Normale che da Pian dei Fiacconi attraversa il ghiacciaio per salire a Punta Penia, ma la paura è rimasta, ce l’ha perfino lui, e non la utilizza più nessuno.

La storia

A guardare le meravigliose immagini che Carlo Budel regala ai suoi ormai numerosissimi follower (126mila solo su Instagram, con un picco di visualizzazioni di 1.800.000 ad agosto 2023), è difficile immaginare la sua storia. Dietro alla felicità immensa di un tramonto dalle mille sfumature di rosso o di un’alba “dalle dita di rosa”, dietro alle crostate e agli strudel sfornati ad alta quota il cui profumo sembra sfondare i limiti della virtualità, c’è un prima e un dopo.

 

La svolta avviene a luglio 2016, quando Budel (Feltre, 1973) decide di mollare un contratto a tempo indeterminato in fabbrica che gli avrebbe garantito la sicurezza economica, ma che lo stava ingabbiando in una vita ripetitiva professionalmente, ma soprattutto distruttiva a livello umano. Alcol, tabacco, discoteche, risse, tempo buttato nei bar a parlare di niente, frequentando compagnie sbagliate, inseguendo sogni materiali senza alcuna visione di futuro. Pian piano la consapevolezza che qualcosa non andasse e il coraggio di prendere in mano la propria vita. «Un giorno semplicemente l’ho fatto» scrive.

 

Passa 20 mesi di pausa in montagna, tra le vette feltrine, anche grazie al suo cane lupo, Paris, a cui è dedicata questa seconda edizione, perché dopo oltre 16 anni di convivenza stretta se ne è andato sul finire del 2023. Trova da lavorare a Malga Ciapela, al cospetto della Marmolada, e sulla Regina delle Dolomiti ritrova se stesso e afferra con determinazione la sua grande occasione: gestire la Capanna di Punta Penia, a 3343 metri, la più alta delle Dolomiti, per 100 giorni all’anno.

Non un mestiere facile: a quelle altezze è sostanzialmente sempre inverno. C’è neve da spalare anche ad agosto, quando si scatena la tempesta sembra che venga giù il mondo, bisogna far fronte alla solitudine, al gelo, a ogni genere di intoppo senza contare su nessuno. Ma la vista ripaga di tutto: 360 gradi di panorama su tutte le Dolomiti. Una libertà inebriante.

L’insegnamento della montagna

Resistere, credere in se stessi, affrontare un ostacolo per volta, non abbattersi anche quando l’obiettivo sembra impossibile da raggiungere. Godere della bellezza e anche della fatica che serve a conquistarla. In sintesi è questo il messaggio che Budel lascia ai suoi lettori, oltre che a tutti coloro che lo seguono sui social.

La scelta di aprirsi ai social è stata fatta quasi per caso, per la voglia di poter condividere momenti unici – unici perché non è da tutti riuscire ad ammirare un’alba da Punta Penia, la salita è impegnativa, che sia attraversando il ghiacciaio, percorrendo la via ferrata o scalando la parete Sud – sicuramente senza immaginare che così tante persone avrebbero seguito. Persone che poi vanno a trovare Carlo Budel d’estate: in tante lo hanno anche festeggiato per i suoi 50 anni, il 9 agosto 2023.

La Capanna è per lui una seconda casa, una seconda pelle, anche se ci passa solo 100 giorni da giugno a settembre, respira con lei, assapora le stesse gioie e affronta le stesse fatiche, in una fusione totale con l’ambiente naturale che lo circonda. Ambiente che non esita a difendere con forza, denunciando anche gli atti vandalici (che non si fermano nemmeno a 3343 metri), o l’indifferenza di chi si fa un selfie attaccato come una “scimmietta” in maniera irrispettosa alla croce di vetta, usata a mo’ di attrezzo da palestra (è successo nell’estate 2023).

L’incontro con le persone

Sono molte quelle che Budel cita, per ringraziarle fra le righe, per dire che senza lui non sarebbe stato così oggi, non sarebbe stato lì. Fanno emozionare le parole rivolte a Hansjörg Auer, che nel 2007 aveva salito in free solo la Via “Attraverso il pesce”, un’impresa che scosse il mondo alpinistico per la sua grandiosità. Passò in Capanna tre giorni a settembre 2018, con l’amico Much Mayr e una squadra di cineoperatori, per scalare la Via “L’ultimo dei paracadutisti” (8b+) e con l’occasione girare un documentario. Auer sarebbe morto ad aprile 2019 nell’Howse Peak, nel Banff National Park (Canada), travolto da una valanga con David Lama e Jess Roskelley. «Mi piange il cuore al pensiero che non ci sia più», ma al contempo, scrive Budel, Auer aveva ben presente che avrebbe potuto morire da un momento all’altro: eppure non riusciva a smettere.

Oltre ai big, gravitano nel mondo del rifugista feltrino tutte le persone semplici che arrivano magari ispirate proprio da lui, dalla sua storia, dalla sua energia. E lui le accoglie tutte, anche quando il posto sembra mancare.

 

 

«Ciascuno arriva a modo suo a decidere chi è e cosa vuole fare della propria vita. Per me è sempre stata questione di esperienza. Sono fatto di azione e sperimentazione: sono le fasi attraverso cui comprendo il mondo».

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